Il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno ci ha consegnato una panoramica sulle emergenze e le crisi in atto. Senza una parola sulla politica e le istituzioni in Italia. La domanda è: il contesto suggeriva che ne parlasse? Una novità c’era. In questa fine di anno è agli atti la strategia della maggioranza di destra di «rivoltare il paese come un calzino» (copyright Meloni in campagna elettorale 2022) con l’autonomia differenziata e il premierato.

L’avvio è stato con il disegno di legge Calderoli (AS 615) presentato il 23 marzo 2023, e con l’AS 935 Meloni e Casellati presentato il 15 novembre 2023. Il primo è già nel calendario d’Aula per il 16 gennaio. Il secondo parte in I Commissione. Per entrambi si preannuncia uno sprint in vista del voto europeo del 2024. È la competizione tra Meloni e Salvini, tra FdI e Lega, e all’interno della stessa Lega per la successione a un Salvini vacillante nella leadership. E la posta ultima e vera è far vivere una Costituzione della destra, post-fascista e venata da pulsioni autocratiche, mandando in soffitta la Costituzione democratica antifascista nata dalla Resistenza.

Un disegno ambizioso e dirompente. Come sempre accade, i vincitori vogliono riscrivere la storia, e nella specie hanno anche fretta di farlo. Gli ultimi anni hanno mostrato il veloce passaggio nel cielo della politica del Movimento 5Stelle e della Lega, due meteore giunte a superare il 30% dei voti per poi cadere rapidamente. A Fratelli d’Italia potrebbe toccare una sorte simile, salvo che nel frattempo non giunga un assist da norme costituzionali come il premierato, che con l’elezione diretta del premier e la blindatura maggioritaria punterebbero anche a contenere le mutevoli tendenze di un volubile corpo elettorale. Mentre la Lega vuole tornare agli antichi fasti di sindacato del Nord.

Mattarella ha di sicuro capito quel che accade, e che almeno in parte probabilmente accadrà nell’anno che si apre. Dunque, rispetto ai precedenti discorsi di fine anno, uno scenario inedito. Non pochi avrebbero voluto una sua parola. Abbiamo visto sui social correre anche commenti che gli imputano un eccesso di arrendevolezza verso la destra arrembante. Ma cosa avrebbe potuto o dovuto fare? Era davvero fragile il terreno su cui fondare un suo rifiuto di autorizzare la presentazione dei disegni di legge governativi. Tra l’altro, bloccare quello sul premierato sarebbe apparso come un tentativo di salvare la poltrona. Una esternazione nel discorso di fine anno avrebbe consentito un percorso più efficace.

Su alcuni temi il discorso non si allontana da un mainstream almeno in superficie largamente condiviso: così è, ad esempio, per la pace e la guerra, o i femminicidi. Ma non è altrettanto scontato il richiamo al lavoro sottopagato, o a condizioni inique, o segnato da immani differenze di retribuzione tra pochi super privilegiati e tanti che vivono nel disagio. O quello ai giovani che si sentono estranei in un mondo che disconosce le loro attese, ad esempio nel contrasto alla crisi ambientale. O alla Costituzione che “riconosce” i diritti, traducendosi in una democrazia capace di ascoltare e di affrontare le condizioni di estrema vulnerabilità e fragilità in cui tanti vivono. O ancora il richiamo alle periferie, o agli studenti.

In questi passaggi si coglie una oggettiva distanza da concreti indirizzi e pratiche di governo. Che si consolida poi con la sollecitazione al voto, non sostituibile con la frequentazione dei social. La partecipazione democratica consente e garantisce l’unità della Repubblica. Il richiamo al voto è oggettivamente un monito per un governo sostenuto da un consenso reale misurabile a circa un quarto del popolo italiano. Un governo forte nei numeri parlamentari, debole nel consenso del paese e nella legittimazione sostanziale.

Infine, il plauso indirizzato a chi ha dato esempio si mostra come messaggio volto alla società civile – non alla politica – perché sia protagonista della difesa dei valori fondanti posti dalla Costituzione: solidarietà, libertà, eguaglianza, giustizia, pace. Leggiamo che Meloni si dice d’accordo su lavoro e sanità. C’è molto altro, e sul resto siamo d’accordo noi.

Non c’è dubbio che la partecipazione democratica e l’impegno di ciascuno siano le chiavi per difendere la storia e l’identità del paese e bloccare l’arroganza della destra. Le sollecitazioni di Mattarella sono state ascoltate da oltre 15 milioni di italiani. Al momento giusto e nei modi possibili bisognerà rivolgersi a loro.