Un nuovo “spacca-italia” su Autonomia e riforme

di Massimo Villone - Ilfattoquotidiano.it - 14/12/2025
Una raccolta di firme sarebbe stata – e forse sarebbe ancora – un’occasione da non perdere. Non tanto per difendere il Capo dello Stato da una destra arrembante ma per difendere la Repubblica democratica e la Costituzione nella lunga e difficile stagione che abbiamo davanti.

Il sindacato si mobilita contro la legge di Bilancio, e ha le sue buone ragioni. La rappresentazione che la destra dà dell’Italia è pubblicità ingannevole. Indagini e cifre (di recente, Istat, Cnel, Censis, Svimez, senza dimenticare la Caritas) ci dicono in che condizioni versa il Paese reale.

Per questo le riforme sono per la destra al governo un terreno da utilizzare per l’immagine di un progetto vincente. Con il benefit aggiuntivo che lo scambio tra le riforme di rispettivo interesse è un elemento di coesione in una maggioranza per altro verso scossa quotidianamente dalla rissa. Se il ghiaccio sottile della coalizione reggerà il suo pattinaggio artistico potrebbe alla fine accadere che Meloni mantenga la sua promessa elettorale di “rivoltare il paese come un calzino”, come non manco mai di ricordare.

Ovviamente la cosa ci riguarda tutti, e ci chiama a un contrasto senza se e senza ma. Anche il sindacato deve preoccuparsene, perché ne verrebbe un impatto certo non positivo. Ad esempio, un premier “assoluto”, eletto in maniera sostanzialmente diretta e blindato con maggioranza garantita in parlamento dal sistema elettorale, sarebbe il peggior interlocutore sui temi che interessano al sindacato. Tale è il sistema cui pensa Meloni (proporzionale, soglia al 40% e premio al 55%, lista anche parzialmente bloccata sui soli capilista, indicazione del “capo” della coalizione). Passa attraverso le maglie della giurisprudenza costituzionale. Qualcuno pensa che sarà fermato dai partner minori della maggioranza, per non dare a Meloni vantaggi decisivi. Non è detto, perché come titolari dello swing vote possono contrattare in base alla rendita di posizione che hanno in quanto necessari alla vittoria.

Ma ci sono modi meno visibili, e tuttavia pericolosi, per costruire le riforme in danno del sindacato. Lo vediamo negli accordi preliminari da ultimo firmati dal ministro Calderoli con Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria. Certo la firma è stata una mossa pre-elettorale, il che potrebbe suggerire di non esaltarne l’importanza. Ma Calderoli ha firmato su delega di Meloni, e dunque gli accordi non possono vedersi come una sua alzata di ingegno, suscettibile di smentita. Vedremo se subiscono qualche modifica o arrivano tal quali in Consiglio dei ministri.

Il che, secondo la promessa di Calderoli, accadrà molto presto.

Ma cosa interessa in particolare il sindacato? Ovviamente, in termini generali il sindacato non può essere favorevole all’autonomia differenziata, avendo nel suo Dna la difesa dei diritti e dell’eguaglianza, per tutti. L’accordo con la Lombardia (art. 2 all. “Tutela della salute – coordinamento della finanza pubblica”) pone l’obiettivo di “garantire alla Regione Lombardia discrezionalità nella gestione delle risorse in ambito sanitario”. Seguono disposizioni (art. 3) che estendono quella discrezionalità a tariffe, patrimonio edilizio e tecnologico, governance delle aziende sanitarie, fondi sanitari integrativi, allocazione delle risorse. Identico dettato si trova negli allegati agli accordi preliminari con il Veneto, il Piemonte e la Liguria. È chiaro che può dissolversi nelle quattro regioni quel che resta del servizio sanitario nazionale pubblico, come è già avvenuto in non piccola misura in Lombardia. Ma vogliamo sottolineare che si pone un modello generale di autonomia differenziata – discrezionalità nella gestione della spesa e nell’allocazione delle risorse – che va oltre la sanità. Ad esempio, cosa impedisce di applicarlo alla scuola, o al trasporto pubblico? Il punto è la possibile allocazione di risorse a una contrattazione regionale sostitutiva o integrativa di quella nazionale. Indebolire il contratto nazionale significherebbe indebolire il ​ sindacato protagonista delle politiche generali del paese come l’abbiamo conosciuto. E sarebbe un esito esattamente sinergico con l’indebolimento nella contrattazione con Palazzo Chigi di cui si diceva con riferimento al premier assoluto. Forse a Palazzo Chigi qualcuno già pensa che alle formule qui citate non va frapposto ostacolo.

Per le riforme tutto si tiene, incluso il prossimo referendum. Il sindacato – con alcune grandi organizzazioni come Anpi e Arci – fa bene a sostenere il comitato per il no. Ma fa male a chiamarsi fuori dalla raccolta di firme popolari. Il treno delle riforme non si ferma in parlamento, come proprio la legge Meloni-Nordio, approvata senza alcun emendamento, dimostra. Bisogna mobilitare il paese, a partire da subito. Una raccolta di firme sarebbe stata – e forse sarebbe ancora – un’occasione da non perdere. Non tanto per difendere il Capo dello Stato da una destra arrembante che vuole illegittimamente forzare sulla data. Ma per difendere la Repubblica democratica e la Costituzione nella lunga e difficile stagione che abbiamo davanti.

Questo articolo parla di:

archiviato sotto: