Nel corso della mia vita, ho visto la parola “libertà” subire una spettacolare traiettoria discendente. È passata da luminoso ideale universale, a ipocrita copertura della difesa di privilegi.
“Libertà” è stata la parola d’ordine della Rivoluzione Francese per liberarsi dal dominio dell’aristocrazia. Della Rivoluzione Americana per liberarsi dal dominio della corona inglese. Delle comunità religiose che volevano liberarsi dal potere corrotto delle gerarchie cattoliche. Delle polis greche che non volevano cadere nelle mani dell’impero persiano. Dei popoli che cercavano di liberarsi da secoli di feroce sfruttamento coloniale. È stata l’ideale della lotta contro fascismo e nazismo che avevano scatenato un’immensa aggressività distruttiva. Libertà è stata la parola magica che aleggiava sulla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sulla dichiarazione d’indipendenza, sulla Rivoluzione Russa e su quella Cinese. Era Galileo libero di difendere l’idea che la Terra gira. Era libertà dai dogmi, era l’idea che il pensiero non debba essere costretti in limiti. Gli esseri umani non debbano essere schiavi, non debbano essere in catene.
Libertà è stata la parola d’ordine della mia generazione, che rifiutava ipocrisie e imposizioni di un mondo dominato da minoranze, e voleva cercare la sua strada. Da ragazzo, percepivo attorno a me un mondo pieno di regole che volevano impormi modi di essere che mi sembravano ingiusti. Volevo essere libero. Libero di seguire i miei sogni, libero di essere me stesso. Libero di amare chi volevo e come volevo. Libero di viaggiare ovunque nel mondo. Libero dai condizionamenti sociali. Dall’autoritarismo della mia scuola. Dai diktat della mia famiglia. Libero di sognare. Libero di pensare con la mia testa. Libero di sperimentare con i miei amici modi nuovi di vivere insieme e di condividere il mondo. Era la più bella delle parole, libertà.
Che tristezza, mezzo secolo più tardi, vedere questa parola luminosa usata come bandiera dai privilegiati per giustificare il diritto di opprimere. Libertà di portare armi, libertà di arricchirsi sulle spalle degli altri. Libertà di fare affari che creano miseria o devastano il pianeta. Libertà di tenersi i propri soldi e non pagare le tasse. Libertà di dominare il mondo, iniziare guerre, sentirsi padroni del mondo. Libertà di mettere basi militari ovunque nel mondo.
Oggi la parola “libertà” svolge una funziona perversa. Serve da giustificazione ideologica per la rapacità: “noi siamo liberi, e quindi dobbiamo dominare quelli che non sono liberi come noi”. A questo si è ridotta, oggi, la parola libertà. Copertura ideologica per giustificare il predominio.
Dalla “Casa delle libertà” di Berlusconi in Italia, alla devozione religiosa degli Stati Uniti per questa parola, “libertà” è usata come una clava contro chiunque abbia a cuore il bene comune più dell’arbitrio dei singoli. Siano questi, stati, individui, multinazionali, o classi sociali. Gli Stati Uniti pretendono di essere liberi e quindi non dover sottostare al giudizio delle corti internazionali o alle raccomandazioni dell’Assemblea di tutti gli Stati del mondo. Le multinazionali prendono di essere libere da regole e limiti che la politica vorrebbe imporre per il bene di tutti. I super ricchi pretendono di essere liberi da tasse sulle loro fantasmagoriche ricchezze. Le classi abbienti pretendono di essere libere dalla tassazione progressiva o dalle tasse sul patrimonio che qualche decennio fa ridistribuivano il reddito. I paesi della Nato pretendono di essere liberi di bombardare la Serbia, devastare la Libia, invadere l’Iraq, invadere l’Afghanistan, usando come scusa che quei paesi “non sono liberi”.
E in cosa si riduce la libertà dei paesi che si considerano liberi? La “libertà di stampa” significa che i grandi gruppi di potere controllano le catene televisive, i grandi giornali, i social online, manipolano facilmente masse di lettori sostenengono narrazioni che giustificano le scelte di dei poteri. La libertà di votare si riduce al fatto che siccome le elezioni non si vincono se non con ingenti quantità di denaro, il potere è nelle mani di pochi super ricchi, o delle grandi corporazioni che dispongono di queste somme. La libertà di votare e la libertà di stampa, che nell’Ottocento hanno rappresentato un potente strumento di liberazione dall’oppressione dei regimi antichi, oggi si sono ridotte a strumenti di manipolazione.
La libertà di parola nei paesi occidentali, come ha chiarito Herbert Marcuse sessant’anni fa, è diventata una strategia del potere: per depotenziare la critica, è più efficace lasciare parlare tutti, in una vasta cacofonia, e imporre punti di vista avendo in mano le narrazioni dei media e dei social, piuttosto che reprimere le voci del dissenso. Un magazine clandestino ciclostilato nella Russia Sovietica aveva un potere dirompente: nessuno poteva parlare e chi osava aveva una voce possente. Una rivista pacifista nell’Occidente liberale non ha alcun peso: tutti possono parlare; il potere non ha bisogno di opprimere voci dissenzienti, tanto ha il controllo delle narrazioni che dominano. Quando oggi nelle democrazie liberali assistiamo a grandi divergenze interne, come accade in questi ultimi anni, quello a cui stiamo assistendo è in gran parte solo uno scontro di potere interno in una plutocrazia poco compatta. Dietro a Johnson e Trump ci sono i potenti media di destra, e ora i social nelle mani di colossali poteri finanziari.
L’ipocrita religione occidentale della libertà si giustifica con il ridicolo l’argomento che “in Occidente su sta meglio, perché c’è la libertà”. Poche affermazioni sono altrettanto ipocrite. In Occidente si sta meglio perché l’Occidente è ricco; e l’Occidente è ricco perché ha raccolto l’eredità dello strapotere dell’Europa coloniale ottocentesca sul mondo intero. Uno strapotere che non è certo stata costruito sulla libertà. È stata costruito sulla soppressione della libertà dei popoli colonizzati, sulla razzie delle loro risorse, sulla riduzione in schiavitù di milioni di africani.
Questa rapina è chiamata libertà.
Ogni libertà è sempre libertà da qualcosa. Un prigioniero riacquista la libertà uscendo dalla prigionia, uno schiavo dalla schiavitù, un popolo oppresso liberandosi dai suoi oppressori, un giovane si libera dal peso di una famiglia opprimente. Un intellettuale si libera da un’idea errata. Quando libertà significa liberarsi da un’ingiustizia, da un’oppressione, da un dogma, dalla fame, dall’ignoranza, dai vincoli che impediscono di essere se stessi, dalle diseguaglianze, la libertà è il più bello degli ideali. Ma quando libertà significa, come significa oggi, sentirsi liberi di ignorare il bene comune, i bisogni degli altri, le sofferenze degli altri, sentirsi liberi di competere e vincere calpestando gli altri, allora la libertà è la più sporca delle parole. Oggi è a questo che serve la parola libertà: a ignorare il bene comune. Un giorno in cui guidavo in una città dove la gente è poco ligia al codice della strada, un’amica mi disse “ci sono persone che si sentono libere di passare quando il semaforo è rosso; considerano il semaforo il loro nemico perché limita la loro libertà. Che sceme, il semaforo è lì per aiutare tutti. È un amico, non un nemico.” Questa è la libertà dell’Occidente. La libertà di inquinare ci sta portando alla catastrofe ecologica. La libertà di armarsi alla catastrofe nucleare. Il libero mercato ci ha già portato disuguaglianze economiche mai viste nella storia. Le libertà politiche ci stanno portando al dominio mondiale dei super ricchi interessati solo a competere fra loro per diventare ancora più ricchi. La libertà di votare ci ha portato una classe politica che invece di occuparsi del bene pubblico si occupa solo di come farsi rieleggere fra qualche mese e non è capace di guardare al futuro lontano.
Per salvare il mondo dalle catastrofi che si avvicinano e da quelle presenti, dal riscaldamento climatico, dalla guerra nucleare sempre più vicina, dalle devastanti guerre in corso, dalla miseria in cui vive ancora gran parte dell’umanità, dalle pandemie che certo troveranno presto, dall’oppressione in cui sono ancora tanti popoli, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è più libertà per l’arroganza dei poteri che ci hanno portato a questo.
Abbiamo bisogno, al contrario, di riconoscere che il bene comune, il bene di tutti noi, deve essere più importante dell’arroganza dei singoli. Abbiamo bisogno di accordarci su regole condivise. Di lavorare insieme, non gli uni contro gli altri. Quando gli oppressi parlano di libertà, il mio cuore è con loro. Quando i ricchi e i potenti del mondo parlano di libertà, hanno tutto il mio disprezzo.
Carlo Rovelli, fisico, saggista e divulgatore scientifico è stato docente universitario in Italia, Francia e Usa. Il suo ultimo libro, scritto con Giorgia Marzano e Massimo Tirelli, è Il volo di Francesca (Feltrinelli).