Italia nera, parte terza. Golpismo ed eversione

di Corrado Fois - liberacittadinanza.it - 07/11/2023
Poche mani, non sorvegliate da controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa - Antonio Gramsci

La terza parte di Italia Nera contiene appunti e riflessioni sugli eventi che hanno segnato la nostra storia repubblicana, il dopoguerra il terrorismo il golpismo, e che a mio avviso sono in larga parte etero diretti. Negli approfondimenti che aiutano a valutare ed interpretare la realtà, sicuramente diversa da come ce l’hanno raccontata e ricostruita, non conta avere ragione o torto. Non importa essere aperti o faziosi. Ciò che davvero conta è provare a capire come è andata per comprendere come può andare in futuro. Raccolgo nel pezzullo frammenti di una storia molto complessa ed opaca, quelli che mi hanno maggiormente colpito. Aggiungo link e fonti varie sperando diano maggiore respiro e siano interessanti per chi vuole leggere. Ragiono su un tempo ed un tema che può rischiarare di apparire ovvio a chi ha seguito le vicende repubblicane con passione, ma sono ferite ancora aperte. Vanno disinfettate. Lo si fa anche non dimenticando. Non accettando nessuna versione ufficiale che, sul passato come sul presente, è di certo manipolatoria. Soprattutto è importante non smettere di guardarsi intorno e se possibile dentro.

Un profilo italiano

L’Italia si allunga dal nord al sud nel mediterraneo. Uno stivale attaccato alle Alpi, sicuro, ma anche un ponte o una strada tra Africa ed Europa. Inoltre l’Italia, almeno per un pezzo, è anche frontiera verso est, cosa che nei secoli non è mai stata una comodità. Come si dice: esposta su più fronti. Niente di peculiare, assunto che oggi non c’è un paese al mondo in condizioni diverse.

Come molti altri perimetri nazionali – perciò fittizi ed imposti – l’Italia ha dentro un crogiuolo di popoli e culture diverse che non si sono mai capite molto. Possiamo dire tranquillamente che ancora oggi le nostre differenti comunità si integrano a fatica ed il paese, per sua fortuna, non è diventato nazione omogenea. Aldilà del perimetro complessivo, che vale più per l’esterno che per l’interno, il comune è ancora alla base dell’intero sistema. La frammentazione – nei tempi a rapida ed incerta trasformazione- è anche versatilità, flessibilità. Questa è la vera forza dell’Italia capace di essere resiliente ad ogni avversità, sia essa politica come la dittatura, che economica. La comunità ha resistito ad ogni processo di omologazione alla faccia delle retoriche risorgimentali e delle costrizioni fasciste.

Le condizioni geografiche e le loro conseguenze geopolitiche hanno messo l’Italia in prima linea e – indipendentemente dalla sua volontà e capacità - tenuta sempre tra i protagonisti principali della Storia, nel male e nel bene. Nel secolo scorso le sue contraddizioni sono emerse in modo evidente e talvolta deflagrante. Si è rivelato il volto sanguinario ed il relativismo morale di un popolo antico, talvolta estenuato sempre variegato e cinico. Non c’è dubbio che l’Italia sia stata una delle responsabili del conflitto più trasformativo della storia. Se lo si guarda fuori dalle categorie usuali si vede come questo conflitto cominci, in forma calda, nel 1914 e finisca nel 1945, avendo - tra le due fasi del conflitto mondiale - una parentesi più o meno ventennale. Parentesi senza respiro visto che dentro ha una rivoluzione epocale, due insurrezioni sanguinarie, due colpi di stato ed una guerra civile. Il conflitto mondiale, diverso da tutti i precedenti per la sua peculiarità politica e di classe, ha generato l’insieme delle attuali contraddizioni. Esso prosegue ancora con una guerra sminuzzata e delocalizzata, non meno sanguinaria e globale.

Dopoguerra ed occupazione. Le radici dell’Italia neofascista

Dal 1945 l’Italia ha vissuto un lunghissimo dopoguerra, causa e conseguenza di ogni debolezza istituzionale che ancora ben conosciamo. Forse solo la Germania ha vissuto di peggio seppure in un contesto di maggiore consistenza, almeno gestionale. Con la sua complicata collocazione geopolitica ed in un quadro di instabilità governativa pressoché permanente, la Repubblica è nata gracile ed è cresciuta fragile. La democrazia parlamentare, nella forma che la Repubblica si è data, ha fatto il resto fino al punto collassale che oggi conosciamo. Tuttavia il male che corrode la nostra democrazia non è solo endemico, esso ha radici internazionali. Si impiantano al tempo della guerra, sia esterna che civile, ma soprattutto in quel dopoguerra di occupazione militare che ha impedito al Paese di far chiarezza archiviando un periodo storico con la dovuta durezza. L’occupazione americana, che si articola nel quadro della guerra fredda, non ha consentito - da noi come in tutta Europa – l’epurazione di burocrati e militari garantendo continuità al fascismo.

Occupazione è un termine spigoloso, va almeno giustificato. Parto da un mio assunto. Se guardo i fatti fuor di ogni retorica vedo che noi, come altri grandi paesi europei, dal 1945 siamo sotto occupazione americana. Nel tempo – per mascherare l’evidenza ed estendere l’area di influenza- si è inventata l’Alleanza Atlantica, intesa come barriera dell’Occidente libero conto l’Oriente rosso e dittatoriale. Questa difesa dal potenziale aggressore sovietico forma la narrazione insistente, messa in piedi per costruire il percepito complessivo delle generazioni a seguire: noi, siamo i buoni! E perché la narrazione si regga su un solo pilastro egemonico, bisogna che l’America consolidi la sua reputazione di liberatore. Una reputazione costruita sagacemente da ollivud e da mille giornalisti compiacenti, ma che non ha base sostanziale, è una manipolazione.

Inutile girare intorno ai fatti. Facciamo in proposito una riflessione banalissima: qual è l’atteggiamento di un vero liberatore dopo aver liberato? Liberare anche della propria presenza il paese ospitante. Se invece di andare si resta, allora si diventa occupante. Fattuale. Tutto il resto sono le bubbole di ollivud. Ovvio che se a vincere ed a liberarci fossero stati i russi avremmo avuto identica occupazione e medesima manipolazione. E’ la logica del vincitore. Ecco perché le vere liberazioni passano per una rivoluzione, per una guerra verticale tra popolo e potere, senza invitati. Ma chissà quant’è possibile. Nessuno ci ha mai provato, nemmeno Ho Chi Min. Uno dei miei eroi di gioventù.

L’occupazione americana non solo è durata, è diventata stanzialità. In stile Impero Romano. L’Italia sotto tutela ha vissuto un tempo di contraddizioni ed ingerenze reso inoltre ambiguo da una storiografia, di ogni parte, costruita a tesi. Conseguenza comprensibile in un mondo diviso rigidamente in blocchi contrapposti, ognuno dei quali aveva ramificazioni e propaggini in tutti gli ambienti.

Riesaminare quelle radici e seguire la loro evoluzione, fino al golpismo ed allo stragismo (che raggiunsero gli effetti auspicati dai mandanti) aiuta a capire parte di ciò che ancora accade e di ciò che forse vedremo in un futuro assai prossimo.

La pista americana

In Italia, nei mesi convulsi che concludono la guerra, molti servizi segreti intrecciano i loro percorsi già traguardandosi oltre una fine abbondantemente scontata. Gli inglesi, di cui abbiamo accennato nella parte seconda, gli americani, i russi. A questi ultimi due destino la mia curiosità. Partiamo dalla pista americana.

Nell’immediato primo dopoguerra i servizi americani di intelligence, che rispondevano all’allora amministrazione Wilson, hanno cominciato ad operare in Italia. Fino ad allora l’Europa era stata relativamente importante per il Nuovo Continente occupato a costruire sé stesso. Dopo la partecipazione, seppure simbolica, dell’America sul fronte occidentale e soprattutto dopo la rivoluzione russa, il governo USA decide che è tempo di cominciare a guardare a quei fermenti che rischiano di contagiare tutti i Paesi, incluso il loro, dove il disagio sociale ha trovato una speranza di risoluzione ed una modello di riferimento.

Diamo per certo che l’Inghilterra imperiale abbia finanziato il fascismo ed i movimenti reazionari europei in chiave anticomunista, ed è possibile che l’abbia fatto anche l’America. Di certo i rapporti tra il governo di Mussolini e quello americano, almeno fino al 1939, sono positivi e cordiali, soprattutto grazie alla grande comunità italiana – forse la più potente - che inneggia ai vessilli del nuovo nazionalismo al potere. Comprensibile nostalgia d’emigranti, che mescola il localismo della comunità - napoletani e siciliani stanno vicini ma separati come in Italia- all’identità comune. Importante soprattutto se si è circondati dal disprezzo dei padroni del vapore, i wasp (white anglo saxon protestant) che hanno in uggia tutti gli immigrati, allora come oggi. Ecco che il faccione del Duce, le trasvolate atlantiche, la vittoria nei campionati del mondo di calcio diventano il riscatto del nostro emigrante nelle enclave delle periferie urbane. Storia che ben conosciamo anche di recente.

Quando Mussolini e Hitler si collegano strettamente e l’Italia fascista vara le abominevoli leggi razziali, si incrinano i rapporti con la nuova amministrazione. Parliamo di Delano Roosevelt, uomo straordinario. La forte comunità ebraica che guida, da allora, la finanza americana esercita notevoli pressioni sul Presidente. La stessa comunità, profondamente anticomunista, subito dopo il patto Hitler-Stalin, prende una chiara posizione contro quelli che definisce regimi totalitari simmetrici. Questa irragionevole visione simmetrica sarà parte della storiografia atlantista del dopoguerra. Dopo il varo dell’Asse Roma Berlino, i servizi di sicurezza internazionale americana penetrano più in profondità i rapporti, fino a quel momento tenuti ai margini, con gli antifascisti, esclusivamente liberali e democristiani.

Nel pieno della guerra, soprattutto dal 1942 in poi, questi rapporti diventano legami. L’indomani della destituzione di Mussolini anche la componente monarchica entra nel quadro della resistenza, e gli stessi servizi segreti sabaudi collaborano sia con gli inglesi che con gli americani.

Proprio in questa collaborazione compaiono in scena personaggi precisi dell’entourage militare monarchico che si ingaggiano nella guerra a fianco degli Alleati e qualcuno tra questi in modo eroico, come ad esempio Edgardo Sogno e Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Esempio limpido di tale collaborazione, Cordero era capo militare della resistenza romana. Nel gennaio 1944 fu tratto in arresto dalla SS. Sebbene fosse torturato a lungo non rivelò un solo nome, nemmeno dei comunisti che proprio cari non gli erano. Dopo giorni di sevizie il capo del servizio segreto tedesco a Roma, che lo aveva tra le mani, smise di torturarlo ammirato dal suo coraggio umano. Lo curò come fosse da salvare e poi lo fece fucilare, al petto ed in piedi, alle Fosse Ardeatine.

Il caso Cordero ha molti lati ambigui. Alcune fonti sostengono che egli sia stato rivelato per vie traverse alla polizia fascista addirittura dall’entourage del monarca, fuggito a Brindisi, per via della sua intraprendenza nella battaglia resistenziale e della sua collaborazione- pur con molti distinguo - con la componente socialista ed anche comunista romana. Si sospetta Badoglio che invidiava quell’uomo coraggioso ed indomito e ne temeva la fama crescente a corte. Una di quelle infinite tristi storie che ci ha rifilato la monarchia italiana, maneggiona e vile. Loro, davvero, avrebbero meritato un Robespierre. Ma l’Italia non li produce. ( un link in proposito https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Cordero_Lanza_di_Montezemolo ) .

Ho accennato un altro nome, Edgardo Sogno. Su di lui, medaglia d’oro della resistenza, agente sabaudo e poi americano ritornerò dato che lo ritroveremo nel golpismo italiano degli anni sessanta. ( il suo profilo generale https://www.anpi.it/biografia/edgardo-sogno-rata-del-vallino e naturalmente https://it.wikipedia.org/wiki/Edgardo_Sogno )

La citata narrazione sulle dittature simmetriche, anima la visione atlantista nelle settimane precedenti alla fine della guerra, la ratio è così riassumibile: liquidato il regime nazista e ora tempo di fronteggiare il comunismo. Emilio Daddario, coordinatore italo americano dell’OSS, che era partito con una missione militare precisa in Sicilia, cioè utilizzare i legami della comunità siciliana americana per garantire supporto di intelligence allo sbarco ed alla conquista dell’Isola, si ritrovò a gestire il nuovo orientamento americano verso i fascisti proprio negli ultimi giorni della guerra.

( qui una gustosa ricostruzione dei fatti siciliani e l’operato di Daddario https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/07/20/uno-007-in-sicilia.html )

Dopo la morte di Roosevelt (12 Aprile 1945) succede immediatamente alla presidenza il suo vice, Henry Truman. ( https://www.treccani.it/enciclopedia/harry-spencer-truman/ ). Il nuovo comandante in capo – ruolo del potus in tempo di guerra – era il classico esempio di conservatore radicale. Per intenderci, un Trump senza parrucchino e con laurea. Appena avute in mano tutte le leve direzionali Truman diede una sterzata annullando ogni legame tra i suoi agenti dell’OSS e la resistenza europea di matrice socialista e comunista. Per questa ragione generale e per le direttive, rigidissime, che ne derivarono risulta improbabile la versione di una pretesa collaborazione di Daddario al CLNAI, con relativo lasciapassare rilasciato ad una squadra delle Garibaldi per catturare Mussolini. Anche Parri, in una qualche misura, l’avvallò ma resta francamente improbabile. Di certo in quei giorni il capitano italo americano recuperò Graziani, di fatto sottraendolo alla polizia partigiana, e gestì la scomparsa di Borghese preservando tutti i quadri della Decima Mas.

Con le scelte di Truman ha termine la resistenza e comincia la guerra fredda. Da quel momento, finisce la liberazione e comincia l’occupazione. In preciso allineamento con la nuova dottrina americana l’OSS stabilì stretti raccordi con le componenti fasciste e naziste reclutando, in tutta Europa, quadri ed esperti nei campi di concentramento alleati. Ovviamente prima tra tutte l’Italia con i ripescaggi di ufficiali della RSI, specie del genio degli incursori e delle comunicazioni, nel grande campo di Coltano e nelle carceri del nord. Nel pieno della guerra fredda, nel 1947, l’OSS venne soppresso. Era oggetto di indagine per i suoi passati rapporti con la nuova parte avversa. Da quella epurazione nacque la CIA che si trovò in eredità un grande esercito clandestino. Ed in particolare Gladio ( Stay Behind ). L’Agenzia provvederà ad integrare questa struttura, in cui militavano molti personaggi in perfetta buonafede, con movimenti più clandestini schiettamente neo fascisti che saranno, come vedremo, strumenti di una politica opaca e talvolta feroce di stabilizzazione atlantista.

La pista russa

I servizi segreti di Stalin, coerentemente con la sua mentalità paranoide, furono il punto di forza della sua forma di governo verticale e nazionalista. Stalin è un errore di Lenin, anch’egli un po' primadonna, che visto l’enorme consenso verso Trotzkj e la sua Armata Rossa, per bilanciare diede a quell’oscuro georgiano, esperto di servizi di sicurezza, il ruolo di segretario del Partito. Un errore che ha pagato tutta la sinistra mondiale. In quel ruolo Stalin rinforzò il potere dei servizi segreti fondando prima la CEKA – perfettamente copiata dall’Ovra di Mussolini – e poi la GPU affidandola ad un omuncolo crudele, Laurenti Berija –sosia fisico morale e mentale, di Himmler- responsabile della morte di almeno un milione di russi sospettati di varie ed ambigue colpe. ( un testo interessante https://www.amazon.it/storia-segreta-del-KGB-operazioni-ebook/dp/B06XB7K1G3 ). I servizi stalinisti entrarono nello scacchiere europeo gradatamente. Prima di tutto, con la tipica ossessione staliniana, agendo contro le componenti trotzchiste del movimento comunista. L’eliminazione di quadri collegati alla visione internazionalista e bolscevica venne attuata nel continuo per quasi dieci anni, anche tramite delazioni alle polizie politiche fasciste e naziste, o con l’eliminazione fisica come in Spagna. Nel pieno della guerra, i servizi russi collaborarono sia con gli inglesi che con gli americani, infiltrandone la struttura. Ed ovviamente essendone infiltrati. (un testo abbastanza dettagliato - Robert W. Stephan.  La guerra segreta di Stalin – LG,ed.)

In Francia e Belgio come in Italia i servizi russi che facevano capo al NKVD (il raggruppamento per la sicurezza dello stato che prende il posto della GPU di Berja e che darà le basi per il KGB, tra le cui fila crescerà il giovane Putin) si radicarono all’interno delle brigate resistenziali. Certamente qualche commissario politico delle Garibaldi era in stretto collegamento con NKVD od era membro della sezione internazionale. Questa collaborazione coinvolse anche il fedelissimo idealista Pietro Secchia e di certo Velio Spano e Vittorio Vidali. Uomini straordinari di stretta osservanza stalinista. Per questo poi epurati da Togliatti dando così a Pietro Nenni l’opportunità della sua celebre battuta sul PCI che produce “uno sempre più puro che ti epura”.

Particolarmente questa stretta cooperazione tra servizi russi e Brigata Garibaldi avveniva nel fronte della Venezia Giulia. Proprio in quel territorio di frontiera, con l’inversione di rotta voluta dall’OSS tesa ad assistere ed usare esclusivamente le formazioni bianche o monarchiche, si manifestarono gli attriti più forti nell’ambito del fronte antifascista.

A Porzus un distaccamento delle Garibaldi fucilò i partigiani di un distaccamento della Brigata monarchica e cattolica Osoppo. Tale distaccamento, circa una ventina di persone, era coordinato da Bolla, cioè Francesco De Gregori (l’omonimo zio del musicista e poeta che ben conosciamo). Con lui in quei giorni, per una sfortunatissima visita politica, vi era Enea, Gastone Valent, commissario politico delle formazioni Giustizia e Libertà. Morirà anch’egli insieme a tutti gli altri.

Francesco, Bolla, era un militare ed un monarchico. La Brigata Osoppo, operava in contatto col comando dell’OSS e non aveva accettato di mettersi alle dipendenze della Garibaldi friulana. Da qualche mese essa era cambiata, non agiva più autonoma ma dichiaratamente per ordine dello NKVD, sotto le bandiere di Tito. Il capo di un distaccamento Garibaldi- Toffanin detto Giacca – che operava per i servizi russi e sloveni, decise la fucilazione di Porzus, allo scopo di dare un esempio. ( https://www.anpi.it/libri/leccidio-di-porzus ).

Tra gli uccisi vi era anche Guido Pasolini, fratello di Pierpaolo che gli dedicò una struggente poesia. L’eccidio venne poi sconfessato dal CLNAI e dalla direzione politica nazionale delle Garibaldi. Nei giorni convulsi della liberazione Toffanin per evitare guai riparò in Slovenia. Quella di Porzus fu una tipica azione destabilizzante dei servizi segreti stalinisti, speculari ai nuovi dettami dell’OSS americana. Simmetrie imperialiste che vennero occultate dalla storiografia stalinista. Porzus, come le foibe, sono fatti storici consegnati dal PCI al giornalismo di destra al solo scopo di sterilizzarli. Sono storie dolorose, ed imbarazzanti.

Nel dopoguerra i servizi staliniani infiltrarono il Partito Comunista, specie dopo la sua progressiva indipendenza. Sfortunatamente l’adagio “i panni sporchi si lavano in casa” non era solo andreottiano. Anche il PCI praticava una verità maneggiata. Così non abbiamo specifici studi, che non siano di matrice reazionaria o di destra, che chiarifichino questa infiltrazione. Sappiamo, e non benissimo, che gli infiltrati agirono come controllori anticipando a Mosca le progressive evoluzioni della strategia del Partito. In questa costante presenza non stupiscono due gravissime interpretazioni di celebri fatti storici. La prima – in pieno stalinismo - riguarda l’attentato a Togliatti che in quel tempo, 1948, sta prendendo una via indipendente da Mosca. Ci si domandò, specie all’estero, com’era possibile che l’ipotesi di un attentato fascista sfuggisse ad un servizio d’ordine eccellente costituito con i quadri della polizia partigiana. Togliatti era solo con Nilde Jotti ed una guardia del corpo quel mattino all’uscita di Montecitorio. Si trovò davanti lo studente Pallante che dopo averlo lasciato passare gli sparò tre colpi. A quella distanza ravvicinata con una Smith and Wesson è difficile non uccidere. Ma il proiettile che colpi Togliatti alla nuca rimbalzò senza sfondare il cranio. Perché? La pallottola non era camiciata, era dunque fragile ed inadatta ad uccidere. Gli altri due colpi nei polmoni lo dimostrano. Il chirurgo Valdoni operò con facilità e dopo una decina di giorni il Migliore era già in ufficio. Davvero una strana storia, coperta poi dalla narrazione all’italiana, come sempre fumosa e retorica.

Un’altra storia dei complessi rapporti tra i servizi russi ed il PCI, tutta da valutare e collocata ben più avanti nel 1973, sostiene che il KGB cercò di uccidere – od almeno intimidire - lo straordinario Enrico Berlinguer ( su questi ed altri fatti un interessante libro di Luca Telese, La scorta di Enrico, Solferino ed. Aggiungo un link veloce e sintetico https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/10/03/il-3-ottobre-1973-tentarono-di-uccidere-enrico-berlinguer/7311127/ ). Ed in questa scia, ripeto tutta da valutare, si può leggere la troppo facile archiviazione della sua morte. Considerava un medico comunista in proposito “a quel tempo nessuno conosceva il polonio come strumento di avvelenamento. Non si è cercato” (a proposito della morte di Enrico un libro https://www.store.rubbettinoeditore.it/rassegna-stampa/in-un-libro-nuove-ipotesi-sulla-morte-di-enrico-berlinguer/ ). Ovviamente sono tutte illazioni. Ma lo sono anche le versioni ufficiali. Personalmente mi auguro che non sia vero, ma è possibile. In ogni caso la figura di Enrico supera per importanza storica ogni pretesa rivelazione come ogni reticenza o copertura.

Di certo troveremo i servizi segreti russi come quelli americani in molte ambigue pagine della strategia della tensione italiana, sia a livello paramilitare che del maneggio politico.

La strategia della tensione ed il golpismo.

A proposito della bomba sul treno Italicus (approfondisce il tema Enrico Deaglio, Patria, 1967 / 77, Feltrinelli. Ma suggerisco tutta la sua serie Patria, è affascinante) un pastore sardo, comunista libertario ed indipendentista convinto, mi disse “le greggi si guidano con la paura, i cani servono per abbaiare”. Sembra ovvio ora, ma nel 1974 la stessa sinistra era ancora lacerata sul tema stragismo. Per molti erano stragi di stato, ma per altri erano stragi nello stato. La differenza non era un gioco di parole. Era politica. Chi vedeva quelle azioni come interne, della destra neofascista e dei servizi segreti, finalizzate a giustificare un golpe. Per altri erano azioni dirette dall’esterno che utilizzavano massa di manovra e mercenari per tenere l’Italia nei ranghi della geopolitica definita.

Che il terrorismo neofascista, da Milano a Peteano ( un podcast in proposito https://www.radioradicale.it/scheda/668965/peteano-la-strage-dimenticata ) e da lì in avanti, non fosse finalizzato internamente è dimostrato dal golpismo, mai compiutamente realizzato. Non si voleva cambiare la forma dello Stato, come sosteneva una delle ipotesi sull’eversione nera, ma piuttosto tenerlo in stretta osservanza e dipendenza, con la paura. Tutti sotto scacco: i cittadini con la paura delle bombe che irrompono nella vita quotidiana, ed i partiti con la minaccia golpista.

Ma è ovvio che un golpe in Italia non avrebbe funzionato come in Grecia (la dittatura dei colonnelli 1967/1974). Non eravamo una propaggine dei Balcani, a quel tempo tutti schierati nel blocco russo, compreso l’apparentemente libero Tito. Noi eravamo, e siamo, il cuore del Mediterraneo. La Nato non ci avrebbe mai voluto diversi col rischio di un dissesto del quadro geopolitico complessivo. Non avrebbe mai autorizzato una dittatura militare in Italia perché a sua volta l’America aveva paura dei contraccolpi. Scottata dal Viet Nam e dal feroce dissenso interno temeva le reazioni della nostra piazza, che ben conosceva. Sapeva che c’erano almeno 100mila studenti ed altrettanti operai del fronte più duro, pronti a combattere per strada. Forse molti di più. Il movimento insurrezionale italiano allora era forte, più forte numericamente di come fu la Resistenza. Dunque un golpe significava un rischio esplosivo ed un sicuro bagno di sangue. La Nato ci voleva obbedienti, fedeli al governo in carica – purché sempre atlantista -ed orientabili. Un golpe di evidente responsabilità e la conseguente deflagrazione italiana poteva generare un rapido contagio europeo, altro che covid. Ed a quei tempi la gente non la chiudevi in casa con le chiacchiere ed i baubau. Ci volevano i carri armati. Se bastavano.

Comunque vi sono almeno un paio di tentativi, od almeno di preparazioni, golpiste. Una, ben nota, vede Edgardo Sogno e Randolfo Pacciardi ipotizzare, nel 1972, una svolta autoritaria di stampo gollista. Lo racconterà Sogno ad Aldo Cazzullo poco prima di morire ( E.Sogno, A.Cazzullo- Testamento di un anticomunista, Sperling Kupfer ed). Ma era una roba abborracciata, campata in aria. Un po' come il Piano Solo di Antonio Segni, 10 anni prima. Tuttavia c’è una preparazione golpista che in effetti si mosse in una famosa notte romana. Il golpe Borghese. (in proposito un link neutro https://www.focus.it/cultura/storia/golpe-borghese-fallimento-colpo-stato-estrema-destra )

In quella notte dei primi di dicembre del 1970 Valerio Borghese mise insieme una squadra composita. Quadri della Decima, allora appena quarantenni, buona parte di Gladio, i neofascisti di Avanguardia Nazionale, qualche agente greco e spagnolo ed almeno un paio di logge massoniche provarono il colpo. A mio avviso non è ipotizzabile che i vertici di quella manovra credessero davvero di rovesciare le istituzioni. E’ nota la passione per il buon brandy del principe nero, ma dubito che avesse intaccato la sua cinica e fertile mente. Da giocatore di bridge Valerio Borghese andava in caccia di un punto critico di stallo. Occupare qualche ministero, stare mezza giornata in Rai, sondare gli umori del popolo ma soprattutto ricattare la DC ed imporre alcune sue dichiarazioni. Secondo Delle Chiaie, agente segreto e coordinatore di Avanguardia Nazionale, si arrivò dentro il ministero dell’interno, rubando armi, si dice poi rimesse. Fu proprio a quel punto della notte che arrivò il contro ordine. Tutti a casa. Nella vicenda del cosiddetto contro ordine c’è una cosa possibile tra le molte ventilate: l’intervento di Andreotti.

Su di lui sono state dette mille cose. Incluso i baci siciliani o la responsabilità nel caso Moro. Di ogni sua cosa si è detto molto, ma come al solito si è citata poco la più evidente. Giulio Andreotti era nel vertice dei servizi di sicurezza internazionale legati alla Nato. Ed in questa chiave, negli anni, ha gestito le complesse relazioni tra il governo italiano e gli equilibri internazionali. Ha trattato con le parti oscure del paese, quelle ben schierate in chiave atlantista ed anticomunista, incluse le varie mafie. Tutte le sue misteriose sfaccettature, le complesse ambigue relazioni si ricompongono se lo si immagina coordinare – come direttore d’orchestra - una musica che egli stesso ha composto, con altri ed in altre capitali. Andreotti è stato, con molta probabilità, uno dei tre o quattro che contavano davvero nei processi di stabilizzazione della parte occidentale dei blocchi. E sappiamo bene cosa si intenda per stabilizzazione e che modalità abbia perseguito chi voleva imporla.

In questa logica, che personalmente mi interessa, la strategia della tensione non viene letta come destabilizzazione del sistema, così come ci si è raccontati per decenni, ma il suo esatto contrario, assunto che il sistema politico ed il governo era di fatto atlantista e gestito dal capitalismo industriale italiano nella logica delle multinazionali.

Nella carne dell’Italia, come in tanti paesi, si è giocata una partita internazionale che ha fatto morti ed ha generato terrore. Soprattutto ha bloccato lo sviluppo delle riforme sociali ed ha permesso l’affermarsi e lo stabilizzarsi della diseguaglianza, in un clima politico messo in stallo ed affidato ad esponenti via via sempre più cialtroni e meno capaci. Questo è forse anche l’esito di mani pulite, una grande occasione di cambiamento partita in modo straordinario e finita in un modo tanto vacuo e controproducente da portare uomini come Borrelli o come Davigo a scusarsi. Siamo davanti ad una complessiva stabilizzazione del potere reale, da cui dipende quello politico.

La strategia della tensione, se la si guarda da questa prospettiva, perde ogni opacità retorica ed appare un chiaro evidente strumento di conservazione messo in campo dal blocco capitalista americano ed internazionale per fermare le grandi istanze di cambiamento e di liberazione degli anni ‘60. E’ evidente, non lo dico per fare simmetrie impossibili ma perché fattuale, che altrettanti maneggi venivano messi in campo dal blocco russo. Intimidazioni, omicidi, terrorismo sono stati strumenti della strategia della tensione del patto di Varsavia. Un organismo strutturato da Mosca, capace nel proprio perimetro di schiacciare con i carri armati ogni tentativo di trasformazione, giusto o sbagliato che fosse. Di certo In Italia come in Francia od in Germania abitarono per decenni agenti sovietici che reclutavano illusi o mercenari, ed agivano per mettere in scena colpi di mano speculari a quelli della Cia o del MI6.

Alcuni link interessanti

https://tesi.luiss.it/27474/1/637882_FORLINO_ENRICO.pdf

https://www.radioradicale.it/scheda/609354/dark-side-il-noto-servizio-e-leversione-nera

L’Italia nera, ora

In questa chiave si potrebbe dire che l’Italia Nera nel tempo abbia mostrato continuità di funzione. E’ stata con Mussolini al governo strumento di cambiamento del sistema di sfruttamento di classe, portato dal medioevo sabaudo all’era moderna, senza minimamente intaccare i processi gestionali del capitalismo. La guerra che poteva – per il suo carattere politico - triturare il sistema e determinare un’epoca nuova è stata invece un’inutile orrendo ed enorme massacro di popoli. L’occasione perduta si deve sia all’occupazione americana dell’Europa che alla logica panrussa di Stalin tesa ad egemonizzare e depotenziare il movimento socialista internazionale asservendolo ai suoi scopi nazionalisti. Così, nel mondo diviso in blocchi, l’Italia nera ha ripreso a prosperare come strumento di parte. Ruolo che le ha consentito di sopravvivere ad un’epurazione di facciata e di ritrovarsi poi protagonista ad ogni elezione, consolidandosi in un paese già confuso di suo e maneggiato da una comunicazione, di ogni parte, ambigua e fuorviante.

Oggi, con le metamorfosi del nuovo millennio, l’Italia nera si ritrova un’altra volta al governo. Il contesto è mutato. Le velleità da ex-socialista di Mussolini scomparse del tutto, le ragioni del consenso di massa mutate. Sono le migrazioni gestite a capocchia ad aver creato quell’onda su cui la destra italiana, come quella europea, sciacquata nella candeggina del populo-buonismo, si è presentata esibendosi con faccette nuove e non nere. Il resto è cronaca attuale.

Niente di cui lamentarsi. Così è la vita. Ma non è stato il destino cinico e baro a gettarci in queste mani incapaci. E’ stata la sequenza di stronzate politiche che la sinistra ufficiale ha messo in atto, dai pianterelli di Occhetto ai minestroni di Veltroni che hanno fatto sparire la rappresentanza di classe. Se togli uno dei pesi dalla bilancia, vedi che succede all’altro. Questi personaggi dovevano pensare venti volte prima di aprire bocca e darsi all’abiura.

Il nulla che affligge oggi la sinistra mondiale, da quando essa ha rinunciato alla via maestra del socialismo, ha permesso al niente che forma la proposta sovranista di emergere. Ed ora il recupero viaggia tra il difficile e l’improbabile. In proposito non bisogna mai dimenticare la legge fisica detta irreversibilità dei processi combustivi. Se bruci il bosco avrai carbone, ma da un sacco di carbone non tiri fuori un albero.

E questo abbiamo oggi noi, gli ex bambini cattivi e devianti passati per tutti i giochi ed i maneggi che abbiamo qui sommariamente ricordato. Questo abbiamo: un sacco di carbone inutile ed inquinante. Manco fosse passata la Befana.

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