Movimenti...ovvero la caduta tendenziale del saggio medio di scontro

di Corrado Fois - Liberacittadinanza - 30/11/2019
“Sono, queste folle solitarie post-moderne, masse mute, disilluse, sconcertate e disgustate.” ( Marco Revelli ) - “Uno spettro si aggira per l’Europa...ma qui e là con molta calma..” ( tratto da Tobias Grutherich)

Cosa succede nelle strade e nelle piazze in questi giorni, in Italia? Tutto. Nulla.

Tutto, se consideriamo il dissenso pacifico un’alternativa al silenzio in cui ci siamo immersi negli ultimi anni, lasciando spazio e proscenio al populismo che ha potuto godere di un’immagine antagonistica essendo, al contrario, parte integrante e mano militare del sistema di potere capitalistico.

Nulla, se consideriamo le modalità con cui il dissenso stesso si manifesta, perfettamente iscritte nel quadro dei pazienti e cortesi movimenti liberaldemocratici che richiedono fattualità e toni più civili ad un sistema politico isterilito quando non degradato.

Vorrei ragionare proprio su questo, su quanto accade e non accade, per trovare una sintesi tra i diversi sentimenti che provo attraversando le nostre piazze ed anche per disciplinare le varie riflessioni, non sempre consonati, che mi evocano.

Il primo sentimento ,il più forte che sento, è la simpatia. Non il coinvolgimento. Provo a capire il perché.

Rispetto al quadro internazionale di antagonismo sociale, i nostri movimenti di piazza, pur rispettando assolutamente la loro tipicità, sono ascrivibili  ad un’area comportamentale precisa e già da altri intrapresa.  Quell’area che la sociologa americana Wendy Griswold, osservando il movimento spontaneo germogliato ai tempi del confronto elettorale Trump-Clinton, definiva come  gentle movement . Per richiamarlo alla memoria:  si tratta del primo movimento di piazza anti-Trump,  nato nella middle class cittadina, scolarizzata ed attiva anche nei social, tipica del nord degli Stati Uniti. Si caratterizzò, ai suoi albori, come  reazione spontanea  alla volgarità e rozzezza della campagna elettorale che sosteneva l'eccentrico tycoon . Ricorderemo i loro slogan ironici ( “ Trumpy grumpy”)  i cartelli colorati , le manifestazioni in centro.  Le forme urbane del loro dibattere. La creatività dei suoi portavoce. Attori, musicisti, intellettuali liberal.

Il gentle movement balzato improvvisamente alla ribalta fu oggetto di scherno bipartisan. Da un lato da parte dello schieramento trumpiano , con il celebre  “good grief dudes” ( quasi intraducibile, diciamo che vuol dire: godetevi il dolore ragazzini , ma si deve intendere come un sarcastico, rosicate fighetti ) la frase ricorrente. Dall’altro lato anche la “sinistra”radicale USA  ed i movimenti antagonisti dei quartieri, i movimenti politici latini e di colore, che percorrevano strade di più duro antagonismo, non lesinarono critiche definendo i movimentisti gentili  tra le altre cose come  “winking muppets”  ( traducibile come fessi ammiccanti .Non rende il pesante doppio senso, che risparmio ).

Il movimento esaurì dopo qualche mese di presenza in piazza, la propria forza propulsiva ed ora molti ex-appartenenti sono fervidi sostenitori  dei vari candidati Democratici alla Presidenza.

Il gentle movement ebbe forma anche in UK ai tempi della campagna referendaria per la Brexit.  I partecipanti, anch'essi appartenenti alla scolarizzata classe media cittadina, si opponevano, con una garbata contro informazione, alle fake news sui costi dell’immigrazione  sbandierate da cinici politicanti come Nigel Farage o Boris Johnson ex sindaco di Londra. Quest’ultimo famoso per aver detto, in perfetto stile anglo-trumpiano  “ a musu’s ass on my chair today” a commento della elezione di  Sadiq Khan, primo sindaco musulmano della Capitale.  Che rispose a tono, citando il testo di una famosa canzone di Bacharach  “a chair is still a chair, even when there's no one sittin' there” ( una sedia resta tale anche con nessuno seduto sopra ) alludendo al fatto che Boris venisse accusato di essere dappertutto, meno che nel suo ufficio ( chi ci ricorda? ..si sa il populista è mobile! ). Disintegrato dai risultati della Brexit il Movimento oggi supporta in parte l’ala liberale europeista o comunque negoziatrice dei Conservatori ed in parte il giovane Chuka Umunna deputato labour scissionista di origini  nigeriane legato agli ambienti liberal della City finanziaria, al tempo dichiaratamente filo UE . Per capirci un Renzi  locale, ma al netto del caso Open.

In Scandinavia, in particolare in Svezia,  questo stile comportamentale gentile è incarnato dai verdi di  Miljöpartiet de Gröna, il partito ambientalista presente in tutta la Scandinavia, tra i perdenti delle scorse elezioni. Lo stile colorato dei loro cortei, il loro modo felpato di gestire il problema ambientale, anche nelle esperienze di governo, sono stati scavalcati dai nuovi movimenti , specie da quello libero e spontaneo, assai più determinato ed impaziente nei toni e nei modi, che ha in Greta Thumberg uno degli attivisti più noti.

I parallelismi tra questi movimenti, che già hanno radici tra loro diverse, e le Sardine sono possibili solo attraverso la forma comportamentale, cortese ed ironica. Per il resto sono sostanzialmente differenti. Prima di tutto perché essi nascono già inseriti, seppure in modo critico, nell’ambito dei tradizionali partiti democratici  ai quali fanno riferimento in termini elettorali ed anche di posizionamento strategico. La seconda marcata diversità è conseguente:  non hanno visione anti politica, al contrario tendono a dialogare, anche in forma entrista, con le istituzioni e con i governi di centro sinistra o moderati.

Nel quadro sguaiato e confuso che viviamo in Italia il nuovo movimento gentile si incunea nel solco evidente dell’antipolitica. In questa sorta di permanente ed incarognita campagna elettorale che i partiti pomposamente autodefiniscono dibattito politico  le Sardine irrompono, suscitano attenzione e simpatia trasversale e vanno in prima serata come ogni novità.

Composte scendono in piazza organizzandosi via social  ed al momento sembrano dar forma fisica ad un movimento di opinione che pone in evidenza proprio il degrado e l’inconsistente faziosità del dibattito  politico. Regola che già da sola impone un forma pubblica di impegno garbato e dialogante. Come diceva una rappresentante del movimento stesso in un pubblico dibattito “ Queste piazze sono contro l'odio",  slogan ripreso in molti presidi, a Palermo come a Parma. Non vi è dunque, come fu per i Cinque Stelle agli albori, nessuna connotazione politica né alcuna dichiarazione anticapitalistica.  Il fatto che cantino “Bella ciao” o che sfottano Salvini ne offre una sorta di coloratura antifascista, ma è solo una parte dei manifestanti perché la sostanza complessiva è ancora incerta, indefinibile.

 Discutendo con alcuni di loro ho saputo che sono componenti dell’ampio movimento dei “venerdì  per l’ambiente” . Non so quanto sia estesa questa cosa, ma certo l’ingaggio di partenza sembra lo stesso: una manifestazione pacifica di disagio sociale e di complessiva sfiducia verso la politica. Che non ci sia tra loro una scissione chiara tra i comportamenti dei politici nostrani ed il valore assoluto della politica è dovuto in larga parte alla semplificazione delle attuali forme di comunicazione che privilegiano la sintesi e l’immediatezza. Ho cercato di condividere questa differenza , ma mi hanno detto che la politica, almeno per come la conoscono, non gli interessa. Che non intendono schierarsi in alcun modo e che, soprattutto, non vogliono essere intermediati da partiti ormai franati sia come reputazione che come qualità rappresentativa. Includendo in questa valutazione anche i Cinque Stelle. Ho domandato , “ma allora qual è l’obiettivo di queste manifestazioni?” mi è stato risposto “far vedere che non tutta la gente accetta questa situazione, che i modi di fare di Salvini non vanno bene a tutti” . Come dire: che il ministero della paura non li manipola.  Ed hanno aggiunto:  “ l’inquinamento non è solo in natura, è dappertutto!.. nella scuola, nei social , nelle istituzioni . Non si riesce più a parlare seriamente di nulla, di nessun problema.. perché tutti i politici, che poi sono sempre le stesse facce, buttano ogni discussione in rissa e non risolvono mai nulla”. Questa frase è  fedelmente riportata.

Non ho colto le fratture od i rancori generazionali, di cui blatera Feltri,  nel loro approccio. Il dialogo è stato fluido, aperto e ricco come capita sempre con i giovani. Il fatto che avessi preso parte ai movimenti antagonisti degli anni 70 li ha incuriositi. Ne abbiamo parlato. Ne sapevamo poco. L’unica cosa ereditata come sapere era il saggio medio di scontro nel conflitto di classe, il manifestarsi anche violento che li aveva caratterizzati e che guardavano con una sorta di stupita curiosità. Non ce l’hanno, come si dice, nemmeno in nota di interpretare alcuna logica classista e tantomeno di arrivare a duro confronto con il sistema dominante. Inoltre considerano quest’ultimo rischio assai remoto. Glielo auguro, ovviamente.  

Se mi stacco , per un momento, dalla riflessione sulle  Sardine e volgo l’attenzione verso la reazione operaia alle molte crisi in atto , da Taranto a Torino, osservo come anche qui , dove il conflitto di classe è ovviamente essenza, il saggio medio di scontro sia discendente. Siamo ben lontani dall’urgenza risolutiva vissuta in passato. La contrapposizione movimentista osservata  altrimenti e solo pochi anni fa, su settori di problematica meno classisti (  penso alle manifestazioni dei NO Tav ) aveva obiettivi assai più cogenti ed una conformazione connotata ideologicamente e gestita quasi militarmente, da ambo le parti in causa.

Siamo presumibilmente di fronte ad una forma complessivamente nuova delle manifestazioni di dissenso. Nuova almeno per l’Italia. La tenuta e la durata di questo movimento è ancora tutta da valutare alla luce di altre e diverse esperienze. Ci ragiono su, perché il secondo sentimento che mi evocano e la curiosità.  

La connotazione gentile e non schierata, non giudicante, lo rende infatti atipico. L’agire delle Sardine è molto diverso dall’indignazione rabbiosa del primo M5S. Mancano i “vaffa day”rivolti al parlamento ed ai politici , manca il Beppe Grillo che da piccolo azionista va all’assemblea di un’impresa nazionale, se non ricordo male Telecom, e rivolto agli altri azionisti riuniti, indicando il management aziendale presente urla “ tutto quello che questi toccano diventa merda!” ( sic ). Manca dunque la prassi conseguente ad uno scontro di interessi, precisamente definito ed accompagnato da un perentorio giudizio morale o fattuale.

Le Sardine chiedono ( almeno dove ho toccato con mano )  rispetto, pacificazione, qualità relazionale. Il che evoca in me un terzo sentimento, la perplessità.

Lo stile comportamentale del movimento ed i suoi intenti dichiarati si iscrivono in un Italia che, al momento, anche a detta di alcuni commentatori della stampa estera, propone in controtendenza con il resto del Mondo una caduta tendenziale del saggio medio di scontro. Sia esso basato sull’antagonismo morale che conseguente al conflitto di interessi tra classi contrapposte. Eppure, si osserva da parte degli stessi commentatori, in nessun altro Paese europeo ( anche nel quadro delle incerte gestioni politiche di tutti i governi in carica nel Continente )  esiste uno scollamento così evidente tra classe dirigente, Istituzioni e Cittadino. Nessun Paese ha governi così distanti dalla buona gestione della quotidianità e, per contro,  in nessun altro Paese i Cittadini sembrano così neutrali anche in presenza di orrori come quelli cui assistiamo.

Qualche giorno fa, proprio mentre riflettevo con alcuni amici sul movimento delle Sardine, ho visto un’altra delle autostrade che attraversano la Liguria scivolare a valle. Stavolta  fortunatamente senza vittime.  Non ho pensato ad una metafora politica, mi sono solo detto: ogni giorno, ormai, c’è una ragione diversa ed egualmente valida  per scendere in piazza. Eppure non vi è stata alcuna reazione popolare. Anche se appare evidente, in relazione all’accaduto, una precisa responsabilità gestionale dei  vari recenti governi perché nessuno ha , per tempo, presidiato il tema. Nessun politico ha almeno domandando che diamine si  fosse fatto dell’Agenzia per la Sicurezza messa in campo dal governo Renzi, o dell’altra che avrebbe dovuto garantirne migliorie disegnata dal ministero Toninelli.  Nessun ministro o boiardo delle burocrazie  si è dato l’obiettivo di attivarle realmente. Il risultato di tale sinecura appare oggi drammatico: nessuna delle due Agenzie esiste ed opera. Dunque, irresponsabilmente, alcun presidio manutentivo o precauzionale è  in vigore nel nostro Paese che ha il massimo numero di fiumi, di colline e di piovosità d’Europa. Così gli argini si sfaldano, le colline franano, i ponti crollano e solo il patrio stellone evita che ogni volta ed ovunque si contino stragi come quelle viste a Genova od a Messina,anni fa.

Quale reazione? Quale ferma protesta di Sindaci e Cittadini? Quali dibattito parlamentare ?

I Cittadini subiscono mestamente e ripuliscono a loro spese lo sfascio. I Sindaci invocano fondi. Il Parlamento lascia in subordine l’urgenza mentre si balocca in un dibattito sul fondo salva stati di cui nessun partito ha letto e capito la ratio. Ho visto una paonazza Meloni gridare al colpo di stato, una rissa di leghisti tentare l’assalto al povero Fico e tutto questo teatrino in una fase che peraltro è solo di premessa al dibattito ufficiale che dovrà approfondire la proposta europea. Un frastuono stucchevole ed irritante proprio mentre l’Italia frana a valle.

Inevitabile il confronto con altre reattività Popolari. Francia, Spagna, la stessa placida Germania solo per citare alcuni casi, vedono forti manifestazioni per temi assai meno rischiosi ed urgenti per la quotidianità operativa del Paese, per la stessa sicurezza fisica dei suoi Abitanti. Il triste conto delle vittime in Italia, negli anni, ammonta a molte centinaia. I soldi spesi per la prevenzione sono poco meno di 5 miliardi, i fondi per la ricostruzione post calamità ( sempre le stesse e negli stessi posti! ) viaggiano oltre i 20 miliardi. Le ragioni di questa asimmetria di spesa hanno una loro comprensibile e mesta evidenza.

Sul fonte lavoro si assiste alla stessa immobilità. Le crisi sono infinite e sempre uguali a se stesse. Non si risolvono, non si  gestiscono con competenza od almeno con tenacia. Dove siano i Sindacati  e le mobilitazioni di massa conseguenti a tale disastrosa gestione  è uno dei tanti misteri italiani.

La sicurezza sui luoghi di lavoro è quantomeno dolosamente trascurata. In dieci anni si contano oltre 17 mila morti nelle fabbriche, nei cantieri, nei laboratori artigiani. Come si impone attenzione al problema? Con qualche sbrigativo dibattito.

Se quindi da un lato abbiamo l’accensione di sguaiati ed astratti dibattiti politici  che rimbombano nelle stanze del palazzo ed esondano nei media, dall’altro abbiamo una reazione sociale che tende complessivamente a comprimersi, al netto del cortese, quanto circoscritto, movimento di piazza di cui ragioniamo.  Un fenomeno di progressiva ampia estraneazione che va guardato per comprenderne almeno lo squilibrio tra le forme di dissenso anche recenti e le attuali e come sia quasi liquefatto, almeno apparentemente,  il confronto.

Per capire almeno una delle ragioni di questa liquefazione rileggo alcune riflessioni che il sociologo Marco Revelli ha fatto in passato. La sua lettura della progressiva distanza formatasi tra movimenti e partiti, elite politiche e masse popolari è sempre illuminante anche se , talvolta, complicata e provocatoria. Revelli è figlio del capo Partigiano Nuto Revelli, uno dei nomi più noti del movimento Giustizia e Libertà. A quell’area politica,laica e modernista, egli è in un qualche modo riconducibile. Alcuni suoi libri ( “Finale di Partito”, “Populismo 2.0”, “La politica senza politica” ) possono essere riferimento per cogliere almeno parti del complesso fenomeno della lenta progressiva distanza tra le forme spontanee di dissenso e la forma politica che, in vari modi, si è posta a guida del dissenso stesso. Una fenomenica che si vede chiarissima nella forma istituzionale che il grande movimento di indignazione sociale formatosi sulla scia del grillismo  ha gradatamente assunto e delle conseguenze che essa ha generato.

Cito una sua frase.  “C'è la tendenza apparentemente contraddittoria dei  partiti rivoluzionari, sovversivi, «antisistema» – dei «partiti di mobilitazione» – a generare al proprio interno gruppi dirigenti fortemente oligarchici. A diventare per certi versi, i più oligarchici di tutti: ed è il «carattere militante» del partito. Il suo essere organizzazione di guerra”.  Un primo spunto per la riflessione che mi accingo a compiere..

La progressiva burocratizzazione del movimento Cinque Stelle , che aveva dato contenitore alle molte istanze di spontanea ribellione, ha allontanato la base di consenso iniziale formatasi sulla scia di quella profonda irritazione verso l’inconcludenza e l’autoreferenzialità della classe politica italiana che ha caratterizzato l’attuale decennio.  Questa base, autenticamente di massa, non ha accettato di vedere entrare il proprio processo ideale nel palazzo così tanto osteggiato. Non ha retto alla scelte oligarchiche del direttorio che costruiva continuamente accrocchi di regole esoteriche. Non ha sopportato alleanze indigeribili in un senso o nell’altro. Ed è rientrata in un deluso astensionismo, impoverendo l’esperienza di dissenso e di pressione popolare necessaria al metabolismo democratico.

Seguendo questo filo di pensiero prendiamo un altro spunto, sempre di Revelli.  “All’identificazione tende a sostituirsi un senso di estraneità. Alla militanza la diffidenza: un senso misto di frustrazione per l’impotenza dei decisori e d’insofferenza per la loro intrusività.”

 Nonostante le molte spinte il movimento, che ha rinunciato, in nome di superiori obiettivi, al suo senso di democrazia piatta (“uno vale uno”) non consegue alcun risultato concreto. Cede sui valori di fondo ( la legittima difesa / porti chiusi / Tap e Tav ) ed in cambio ottiene solo una parvenza, mai funzionante, del reddito di cittadinanza. La sua bandiera, il suo primo obiettivo. Nello stesso tempo in cui appare impotente all’esterno il movimento diviene all’ interno egemone, sempre più oligarchico e burocratico. Il direttorio impone nuove regole, negozia senza preventivo mandato, si posiziona politicamente in modo contradditorio.  Altri pezzi significativi del movimento si staccano, abbandonano le fila ed in parte si alienano dal dibattito politico cui prima avevano partecipato entusiasticamente.

Lo spegnimento dei Cinque Stelle non è il solo esempio.

Maria Paola Patuelli , in suo articolo sul sito ( “Sardine di tutta Italia unitevi” ) a proposito dell’esperienza dei Girotondi  scrive  “Molti – non tutte e tutti – si stancarono. E’ quello che spesso accade ai movimenti. Ma non scomparvero. Li abbiamo ritrovati in buona misura nei movimenti referendari che hanno messo in salvo la Costituzione, nel 2006 e nel 2016. Cos’altro potevano - potevamo - fare?” . E’ stato già molto,diciamolo,  ma la sincera domanda comporta una serie di questioni che alimentano la riflessione. Primo: cosa tiene unito e costante un movimento? Secondo:  come si produce una pressione disciplinata e costante?  Terzo: quale forma può contenere allo stesso tempo la spinta libera di massa e la costruzione di un aggregato stabile e capace di cambiare realmente gli attuali equilibri?

Un’ indicazione  l’abbiamo grazie all’esperienza dei gentle movement di cui parlavo all’inizio. La vicinanza con i partiti tradizionali del riformismo, che pure  ha consentito l’organizzazione della loro prime importanti manifestazioni, non è stata garanzia di stabilità . Anche in presenza di questo evidente supporto quei movimenti non sono sopravvissuti in forma autonoma all’insuccesso del tentativo di mobilitazione, si sono contratti e ridimensionati  e sono stati riassorbiti nell’alveo iniziale.  

Alla prima domanda si potrebbe quindi rispondere che ciò che tiene uniti nel tempo i movimenti alternativi non sono le forme entriste né gli obiettivi a breve. In apparenza concrete, entrambe le logiche hanno misuratori di successo immediati e quindi offrono ai movimenti stessi cicli di vita a tempo definito. Vinco, perdo. Esisto, non esisto. Al contrario è la visione di un obiettivo a medio lungo termine, ad esempio la trasformazione della società capitalista o  la salvezza ambientale, a sostenere l’impegno ed a superare le ovvie difficoltà, le prevedibili frustrazioni.  Non è nemmeno l’irritazione per questo o quel “comportamento” delle Istituzioni  a dare forza morale e tenacia ai movimenti, ma grandi valori di fondo, come il riconoscersi nella forma Repubblicana , che cita appunto Patuelli,  in grado di richiamare in campo i movimentisti disillusi di fronte alla minaccia di manipolazione arbitraria  della Costituzione.

Quindi un primo pilastro per valutare la forza effettiva dei movimenti , la loro consistenza, è proprio nella configurazione del loro scopo essenziale e della loro struttura ideale:  obiettivi strategici, valori coibenti. Secondo me bisogna osservare attraverso questo filtro le Sardine.

La seconda domanda propone un contenuto sostanziale. Il principio della continuità d’azione. Secondo Leibniz   la legge di continuità porta ad intendere che è impossibile un risultato assoluto e simmetrico in tempi e modi rapidi ( la natura non fa salti ). Aldilà della struttura filosofica del concetto, ben più articolata,  resta un semplice stimolo: diventiamo forti, disciplinati e costanti solo se comprendiamo la complessità di ciò che affrontiamo e ne accettiamo l’intima difficoltà facendone base dell’atteggiamento fondante che guiderà l’azione nel tempo.

Se alimentiamo un movimento con visioni semplificate, se ad esso diamo un solo e circoscritto obiettivo, il movimento stesso si esprimerà in modo restrittivo. Ponendolo invece di fronte al contrario logico, un obiettivo a  tempi lunghi ed a complessità crescente, sostanzieremo la necessaria tenuta fin dal patto iniziale.  Un esempio : Maggio 1940 . Churchill si trova di fronte ad un dilemma esiziale. Come può mobilitare le risorse umane necessarie per reagire all’aggressione nazista , come motivarne la tenuta e la tempra morale,  sia sul fronte esterno che interno?  Sceglie la strada della chiarezza “Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo di fronte a noi la più terribile delle ordalie. Abbiamo davanti a noi molti, molti mesi di lotta e sofferenza". Ma attraverso la drammatica ruvidità dei toni, il discorso di Churchill del 13 maggio viene centrato sulla via d'uscita, sull’obiettivo a lungo. Sa che è lì che deve orientare  l'uditorio,  cui deve fornire un motivo coibente che regga nei momenti più difficili. Deve offrire la speranza .

 La veicola con una domanda retorica: "Voi chiedete: qual è il nostro obiettivo? Posso rispondere con una parola. È la vittoria. Vittoria a tutti i costi, vittoria malgrado qualunque terrore, vittoria per quanto lunga e dura possa essere la strada, perché senza vittoria non c'è sopravvivenza". Il risultato di tale guida etica è noto a tutti. L'Inghilterra tenne.

Cosa abbiamo come secondo pilastro?  La leadership. Quell’elite che, incarnando il senso primo del movimento, sa proporsi . E lo fa  grazie alla tempra morale e all’autorevolezza di chi si esprime nell’onestà del linguaggio fattuale. Di chi sa sintetizzare l’emozione che lega strettamente Persone, valori e comportamenti.  E fuori di ogni equivoco, che sa dare l’esempio. Churchill restò a Londra sotto i bombardamenti , come il Popolo che aveva il mandato, democratico, di guidare

Senza leadership ed elite qualunque movimento è destinato ad estinguersi. Lo spontaneismo fa parte del momento nascente, ma  nel variare del tempo in cui si intende conseguire un cambiamento reale, si deve trasformare in istituzione. Certamente non un istituzione oligarchica, come invece abbiamo visto nei Cinque Stelle,  ma partecipata ed aperta ad un metabolismo interno che preveda e faciliti il ricambio dell’elite stessa.

Questo porta alla terza questione. Quale forma deve darsi un movimento, per  ottenere risultati concreti e duraturi? Ed a questa ampia domanda bisogna aggiungere una questione sottostante: siamo certi che sia morta la forma partito o è solamente il formalismo degli attuali partiti da rimuovere?

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Per vedere la radice originale, nell’era moderna, del concetto di partito prendo le parole di Edmund Burke “Il partito è un gruppo di uomini che, concordando pienamente su alcune idee precise, uniscono i loro sforzi a vantaggio dell’interesse nazionale”.

Il suo convinto sostegno alla rivoluzione americana ( siamo in pieno illuminismo ed egli ne è parte integrata ) non ha seguito con la rivoluzione francese che Burke vede come estemporanea, irrisolvibile, fuori contesto. Ne preconizza la fine con uno sbocco autoritario, come sarà, e da libero pensatore quale è  ne stigmatizza la fragilità. Proprio perché non vede una “piena concordia di idee e di progetti” ma un convulso aggregato di mozioni differenti e distanti unite solo da una circostanza: eliminare il regime. Capisce lucidamente quanto quel movimento rivoluzionario sia sprovvisto di una soluzione comune verso la quale mobilitare energie. Proprio perché non vede un partito consistente e durevole, ma un’insieme situazionale che solo il comune nemico tiene insieme . Lenin trarrà dalle riflessioni di Burke molti spunti utili, anche se il concetto del primato del partito è tutto suo, ed è sbagliato nel principio di fondo e nella prassi.

L'istituzione partito, per mantenere la sua capacità di contenere il movimento, deve essere  una forma compiuta ma aperta che aggrega  uomini concordi, non una chiesa impostata su riti che è destinata solo a produrre burocratiche oligarchie. Lev Trotskj in Russia ed Amedeo Bordiga in Italia su questo punto, come sulla visione internazionalista, costruirono parte  delle loro  sante eresie.

Quando i politologhi immaginano un partito oggi, lo descrivono fuori dal concetto classico di verticalità oligarchica, leninista o grillista. Lo descrivono piuttosto come un sistema di regole condivise che aggregano differenti forme di partecipazione. Un organismo mutevole che si apre al confronto ed al dibattito esterno ed interno, che esprime una leadership di competenza e dunque a geometria variabile in funzione dei temi e dei tempi su cui il partito stesso interviene.  Una organizzazione aperta, che contiene ed articola diverse forme di movimento e che offre alle diverse forme  sostegno organizzativo e supporti logistici. Un sistema  esperto e moderno che ha centri studi e scuole quadri , utilizzando i principi di finanziamento europeo  sulle fondazioni e sulla formazione. Un corpo vivo che si radica nelle comunità locali e professionali ed agisce in tutte le forme della comunicazione con esperti . Che si basa sulla militanza diffusa.

Quindi  un partito che crea una forma del contenitore, costantemente ed in modo trasparente aggiornato, che ha solamente lo scopo di plasmare la qualità del contenuto nel tempo.

In un partito simile, con un posizionamento politico chiaro e dichiarato, con un sistema di valori solido e condiviso, con un’identità stabile , io mi riconoscerei pienamente. Per costruirlo lavorerei tenacemente nella certezza della difficoltà e della complessità del progetto stesso.

Non sono un movimentista.

I movimenti spontanei producono due cose distinte, ma conseguenti. Basandosi su una aggregazione emotiva, durano quanto l’emozione dura, e producono perciò da un lato progressivi spegnimenti, dall’altro manifestazioni violente e rabbiose a ciclo breve. In entrambe i casi riducono il saggio medio di scontro poiché esso non si misura nell’intensità violenta, inutile quanto controproducente oltre che generalmente breve, ma nella durata e nella continuità di pressione che si deve esercitare sui governi, sulle classi dirigenti, sulla pubblica opinione. E ciò si ottiene solo con la fermezza dei principi, la chiarezza degli obiettivi, i valori profondi che li sostanziano. E con l'organizzazione in forma compiuta e solidificata.

Il capitalismo accetta di buon grado le logiche di contrapposizione spontanea, siano esse di carattere pacifico che insurrezionale, poiché in entrambe le forme difettano della maturità e della stabilità necessaria. Soffre ,al contrario, il confronto fattuale e costante che articola i toni del dissenso in funzione delle modalità di risposta e che si propone con una forza ed un’ampiezza eguale e contraria. Un vero avversario. Un vero contrappeso.

Personalmente non mi coinvolgono i gentle movement senza leadership e progettualità, perché mi appaiono leggeri e volubili come foglie al vento. E sempre personalmente ho profonda diffidenza dei movimenti insurrezionali  poiché essi sono spesso sgangherati e  facilmente infiltrabili , vedi Bolivia o Iran.

Credo in una forma nuova di partito e di elite. Credo nel progetto del socialismo, aldilà dei molti errori, tutti di natura umana, che ne hanno celato la qualità intrinseca. Credo nella correzione delle forme dello Stato e non nella rivoluzione, che spesso ha prodotto il contrario della forma precedente di oligarchia, solo mutando nomi e riti. Credo nello scontro di classe e di morale, anche se duro, quando questa durezza è necessaria.

Guardo con grande simpatia alle Sardine, in cui militano persone a me molto vicine, ma non mi faccio illusioni che queste gioiose macchine , a cui partecipo con piacere, producano reali mutamenti nei rapporti di forza correnti tra classi, nella correzione delle diseguaglianze, nella protezione anticapitalistica dell’ambiente che restano, per me, obiettivi irrinunciabili.  

Ma già  il solo  fatto che queste piazze , dove tutto e nulla accade, riescano a far riflettere sull’importanza e l’urgenza di costruire più solide forme di contrappeso politico le rende importanti per la collettività, ed a me care.  

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