Il taglio dei parlamentari e la sinistra a rischio estinzione

di Felice Besostri, Enzo Paolini - Il Manifesto - 15/07/2019
La revisione costituzionale messa in campo dalle nuove Camere sarebbe la pietra tombale per una sinistra lontana dal 10%. L’obiettivo non è la sopravvivenza di formazioni autoreferenziali con il 2% come orizzonte: una linea di tramonto

Cosa voglia la maggioranza al Governo, in attesa di essere maggioranza di Governo, in materia elettorale è chiaro. Con la legge n. 51/2019 è stata approvata la legge elettorale standard, di accompagnamento del ddl costituzionale di consistente riduzione dei parlamentari. La Camera dei deputati passa da 630 a 400 membri, mentre il Senato della Repubblica da 315 a 200. La legge applicabile, quale che sia il numero dei parlamentari, è una versione peggiorata del Rosatellum bis, la legge n. 165/2017, con la quale si è votato nel 2018: versione peggiorata perché la quota media dei collegi uninominali maggioritari passa da 1/3 a 3/8 dei colleghi plurinominali proporzionali, cioè dal 33% al 37,5%. È poi mantenuto il voto congiunto e nei collegi plurinominali le liste bloccate. Il voto non è eguale per le norme sulle coalizioni, perché in coalizione si conteggiano i voti per liste comprese tra l’1 e il 3%, persi per le liste uniche.

Gli sconfitti del 2018 sono stai puniti dagli elettori nel 2019. Nessuna lista ecologista e/ di sinistra ha superato la soglia del 4%, mentre la soglia del 3% fu superata, più male che bene, da LeU alla Camera dei deputati: essa resta testimonianza impotente di una futura sinistra ricomposta, ricostruita e forse rinnovata, che ritrovi la sintonia con i milioni di cittadini e cittadine abbandonati all’austerità e nelle diseguaglianze crescenti dai suoi rappresentanti politici e sindacali, paradossalmente a partire dall’ultima vittoria del centro-sinistra con l’Ulivo nel 1996.

La tendenza negativa si è rafforzata nel corso di un anno: dal 2018 alle europee del 2019 la percentuale dei votanti è scesa al 54,05% e i voti validi di altri 6.056.447. Di questi voti validi ben 2.320.522 – a causa della soglia del 4% – non hanno eletto alcun deputato europeo, mentre ne sarebbero spettati loro ben 8. Tenendo conto che nel 2018 non hanno votato i cittadini Ue residenti in Italia, il confronto ci vede perdenti: i rosso-verdi italiani non sono popolari presso di loro come nel resto d’Europa. Un immobilismo elettorale preoccupante e drammatico dopo un periodo (2013-2018), nel quale una parte della sinistra ha fatto parte della maggioranza come Sinistra italiana e componente interna al Pd. Non ha avuto migliore successo la sinistra alternativa non compromessa con maggioranze di centrosinistra.

Per la saggezza popolare «mal comune mezzo gaudio», ma in questo caso sarebbe un’idiozia sesquipedale. Parafrasando Maksim Gor’kij proprio perché siamo dalla parte del popolo non possiamo perdonargli tutto quello che fa o tutto quello in cui crede. Non è iniziata neppure una discussione franca, aperta, libera sugli errori; l’emergenza umanitaria giustifica solo in parte l’inerzia. Se non altro per rispetto dei superstiti del naufragio della sinistra, si dovrebbe dare loro un messaggio di ringraziamento per la loro fedeltà. Bisogna dire, con chiarezza, che sarà difeso il loro voto, promuovendo la rimozione delle soglie. Si tratta di un’iniziativa cui bisognerebbe dare un significato politico per una legge elettorale proporzionale, senza soglie o premi di maggioranza. La revisione costituzionale, messa in campo dalle nuove Camere ancor più espressione del «voto utile» sarebbe la pietra tombale per una sinistra lontana dal 10%, la percentuale minima per chi abbia la pretesa di voler cambiare la società e con la società il pianeta.

Deve essere chiaro che l’obiettivo non è la sopravvivenza di formazioni autoreferenziali con il 2% come orizzonte: una linea di tramonto. Ci sono divisioni storiche da superare in Italia e in Europa pena l’estinzione. Chi bene incomincia è a metà dell’opera.

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