Quale credibilità può avere un capo di governo che attacca l’opposizione un giorno sì e l’altro pure e poi invita a moderare i toni? E quali sono i toni da moderare se ogni atteggiamento critico nei confronti di quel medesimo capo di governo viene considerato al pari di un atto terroristico? Come si può sopportare, da questa parte del campo, che ci sia qualcuno che ti paragoni alle Brigate rosse quando negli anni Settanta e Ottanta la battaglia più dura contro il terrorismo venne combattuta proprio dalla sinistra, in prima fila il Partito comunista italiano in cui militavano Guido Rossa, ammazzato a Genova proprio dalle Br, e due ragazzi romani che molti non ricorderanno: Ciro Principessa e Ivo Zini, uccisi dai fascisti mentre facevano attività politica nelle loro sezioni comuniste? Come si può sopportare questa arroganza di governo, espressa da esponenti politici che vengono da una storia buia che affonda le sue radici nel terrorismo di stato del fascismo e che non hanno il coraggio di pronunciare mezza parola sulle stragi nere che hanno insanguinato questo paese e che considerano il 25 aprile quasi un oltraggio e l’antifascismo come qualcosa da cancellare per sempre?
Il pretesto dell’omicidio dell’estremista americano Charlie Kirk
La polemica scatenata dalla destra italiana dopo l’assassinio dell’estremista americano Charlie Kirk è davvero surreale. Si prende a pretesto l’omicidio commesso da uno squilibrato, cresciuto nel culto delle armi in un paese dove i mitra si comprano al supermercato, per scatenare una ignobile offensiva contro l’opposizione e alcuni intellettuali accusati di “minimizzare o addirittura giustificare o festeggiare” quell’omicidio, come ha detto la premier. Si è arrivati persino al punto che un sottosegretario alla presidenza del Consiglio confezioni un dossier intitolato “Chi soffia sul fuoco dell’odio politico” nel quale vengono catalogate tutte le dichiarazioni di esponenti dell’opposizione considerate pericolose e tutti gli slogan gridati nei cortei e nelle manifestazioni e tutti gli striscioni e tutto ciò che non sta bene a chi governa pro tempore il Paese. Si tratta di comportamenti da regime, praticati da chi mal sopporta qualsiasi critica politica e considera terroristico qualsiasi pensiero antigovernativo.
Per quale motivo la premier e tutta la pletora dei suoi affezionati laudatores si comportino in modo così irresponsabile è difficile stabilirlo. Da una parte c’è sicuramente il riflesso condizionato, che viene dalla loro storia, di vedere il nemico da combattere in ogni oppositore e in ogni persona non disponibile a intonare il “meno male che Giorgia c’è”. C’è sicuramente anche una scarsa dimestichezza con le regole della democrazia da parte di chi per lunghi anni ha inneggiato al capo di una dittatura, e quindi ha una sorta di innata incapacità a capire che il dissenso è il sale del sistema democratico e se non ci fosse sarebbe davvero un brutto segnale per tutti.
Tuttavia, credo ci sia anche la stanchezza politica a spingere la premier e i suoi ad alzare il tiro contro il Pd e l’opposizione. Tra poco più di un mese Giorgia Meloni festeggerà il suo terzo compleanno a Palazzo Chigi, la fine della legislatura si avvicina e non ci sono trofei da esibire quando sarà il momento della campagna elettorale. Le famose grandi riforme sono al palo, i dati economici non sono così brillanti come raccontano, in politica estera il patto con Trump non ha dato alcun risultato e quella che doveva fare da ponte tra il presidente americano e l’Europa si ritrova con un pugno di mosche in mano a rincorrere gli altri leader europei.
La ricerca dello scontro in assenza di risultati politici
Dunque, meglio scatenare una guerra interna e mettere la sinistra nel mirino dello scontro sperando che gli elettori abbocchino e credano davvero che il “terrorismo politico” dell’opposizione sia responsabile di un paese che arranca faticosamente, che l’antifascismo sia il male assoluto e che la Resistenza abbia combinato solo guai, a cominciare, direbbe il presidente del Senato, dalla povera banda di pensionati fatta saltare in aria dai partigiani in via Rasella.
Siamo a questo. E questo è l’aspetto più preoccupante e pericoloso della vicenda italiana. Perché dietro questi attacchi inconsulti c’è il tentativo di cancellare ottant’anni di storia democratica, di disarticolare le istituzioni e abbattere i pilastri ideologici sui quali è stata costruita la Repubblica fondata sul lavoro. Il problema, dunque, non è l’omicidio di Kirk e quante e quali parole si pronuncino su un orrendo delitto. Questo è solo un diversivo, un’arma di distrazione di massa. Il problema vero è che chi soffia sul fuoco, come è consuetudine della destra italiana da Berlusconi in poi, risiede a Palazzo Chigi e ha in mano le leve del comando in tutti i campi, anche in quelli più delicati. È questo che fa paura e che non fa dormire sonni tranquilli a chi crede che la democrazia non c’entri nulla con i pugni di ferro né con gli insopportabili “eia eia alalà” di contorno.