O partigiano, portami via…

di Barbara Fois - Liberacittadinanza.it - 24/04/2021
Come i partigiani ricostruirono l’Italia, noi dobbiamo ricostruire la sinistra

E’ in giorni come il 25 aprile che senti di più il tuo essere orfano di una bella storia, di un passato in cui ti sentivi parte di un tutto, confortante, pieno di speranza nel futuro e dalla parte giusta. In cui, insomma, militavi nella sinistra.

Hanno detto che il 25 aprile è una festa divisiva! E meno male! Come dico sempre, ogni anno: la festa della Liberazione non è per tutti, è solo per inviti e certamente non sono invitati i fascisti, visto che è da loro che ci siamo liberati! Spesso mi chiedo che ne direbbero tutti quei giovani che sono morti allora sui nostri monti, nelle campagne, nelle città : da Napoli in su, che si sono sacrificati e hanno combattuto, portando ciascuno il suo mattoncino per ricostruire la nostra Patria e ridare a tutti, anche ai fascisti, la libertà di esprimersi e anche di contestare.

Anche la mia famiglia ha portato il suo mattoncino e ve lo voglio raccontare.

E’ il 1944 e siamo a Biella, anzi nella frazione di Chiavazza. Mio padre, sardo, è lì ospite della moglie di suo fratello: l’Italia è divisa in due e lui che ha fatto l’Università fuori, non può tornare in Sardegna. Suo fratello se lo sono portati via i tedeschi e lui, socialista, vuol dare una mano ai partigiani, ma non vuole sparare a nessuno, si limita a portare messaggi dei partigiani. La sua copertura è che dipinge, nei boschi circostanti Biella. Una notte bussano alla porta della farmacia che hanno sua cognata insieme alla sorella (che sarà poi mia madre): sono i partigiani e portano un ragazzo ferito. Conoscono mio padre e il fratellino di sua cognata che pur essendo poco più di un adolescente, è già una loro staffetta. Il ragazzo ferito è un poco più grande di lui ed è stato fucilato quella mattina e lasciato con gli altri sul sagrato della chiesa. Il prete si è accorto che è ancora vivo e quando si china su di lui per dargli l’estrema unzione gli dice “Stai fermo. Fingi di essere morto. Avviso i tuoi amici” e così fa. Ma dove portarlo? Uno dei due medici è fascista e l’altro è troppo conosciuto come militante di sinistra per portargli il ferito, perché beccherebbero subito tutti e due. Resta la farmacia. Mio padre e mia madre, che è crocerossina, lo puliscono, lo medicano, lo curano, lo rifocillano. Mamma ci raccontava che aveva la faccia sfigurata dalle botte e la pallottola era scivolata lungo una costola, senza ledere organi interni. Ma certo era davvero in condizioni gravi. Papà gli fece fare una boccata di sigaretta per vedere se dal buco d’uscita nella schiena usciva del fumo e visto che non usciva niente, sentenziò convinto che i polmoni erano salvi. Sia papà che mamma ci raccontavano degli occhi grandi, espressivi di quel ragazzo. Non riusciva a parlare, era tutto tumefatto, ma quegli occhi li seguivano e ringraziavano. Lo rivestirono e i partigiani se lo portarono via e sparirono nella notte.

Non ne seppero più niente per molti mesi e si chiedevano che ne era stato di lui. In quegli ultimi mesi di lotta, si faceva notare per coraggio e determinazione un giovane partigiano che aveva assunto il nome di battaglia di “Evaso”…una mattina di maggio la porta della farmacia si aprì ed entrò un gruppetto di partigiani, fra loro c’era un giovane abbronzato, con il fucile in spalla, che sorrideva a mamma e papà, con gli occhi lucidi. Quello sguardo loro lo conoscevano bene “Mi riconosci?” chiese il ragazzo sorridendo e a papà “Mi dai una sigaretta?”. Lui era quel ragazzo fucilato ed era lui che si chiamava Evaso e il perché del nome è chiaro. Si abbracciarono come fratelli. La farmacia ebbe una medaglia al valor partigiano.

È una piccola storia, come tante in quegli anni, ma per piccolo che sia quel mattoncino, ha contribuito alla costruzione di un paese nuovo e libero. Ed oggi noi, ciascuno di noi che abbia una storia famigliare in cui ci sia anche un piccolo contributo alla Liberazione, ha il dovere di non dimenticare da dove veniamo e qual è il nostro compito nella società di oggi.

E uno di questi compiti è di ricostruire la sinistra. Anche noi dobbiamo portare ciascuno il suo mattoncino, prima che davvero sa troppo tardi.

 

Buon 25 aprile, cari amici e compagni. Buona festa di liberazione!

 

Barbara Fois

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